BNCOMIX – Leonardo Cantone, 27 Marzo 2012
Chiunque, chi prima, chi dopo, chi “ancora”, ha avuto paura del proprio “Mostro nell’armadio”, oppure dell’uomo nero, o di “quell’ombra” che compariva ogni volta che veniva spenta la luce della cameretta. Ma siamo sicuri che erano solo le nostre fantasie da bambini? Certo, con l’età adulta quelle ombre spaventose si sono rivelate solo “ombre”, ma quando eravamo bambini erano reali, tangibili, da incubo. Per questo erano meno reali? Alessio Di Simone e Alessandro Di Sorbo ci regalano la possibilità di tornare bambini, ma con la consapevolezza di un adulto, grazie a Il Mostro nell’armadio.
La storia è quella delle più “classiche”: un bambino che ha paura di un mostro che abita nel suo armadio e che mangia i bambini; un mostro dai denti aguzzi e sottili come aghi.
Nel testo risiede la parte più rassicurante di questo libro: il già letto, il già conosciuto, la “fiaba” che sappiamo essere a lieto fine, la “favola” da leggere ai propri figli per farli dormire un sonno senza mostri pronti a divorarli. A raccontare la sua paura è il bambino protagonista del libro e lo fa attraverso il proprio linguaggio, attraverso il proprio universo verbale e simbolico: il sogno di diventare un eroe, di salvare gli altri, di aiutare una mamma il cui figlio è stato preso dal mostro. Tutta la materia narrativa è pervasa dall’idea di restituire la capacità immaginativa del bambino che, anche attraverso oggetti e tecniche più disparate, cerca di descriverci il suo mostro.
La parte grafica, perciò, si presta al meltin-pot visivo, al collage come strumento narrativo: cartone, carta, cartoncini, ma anche stoffa, fotografie, caramelle gommose, tratti sottili di china che si alternano a quelli più spessi da pennarello, e, ancora, acquarelli, tempere, matita. Le immagini vivificano il racconto rendendolo tangibile, ancorato alla realtà, ma, allo stesso tempo, cavalcano le onde della fantasia infantile. Il “collagismo digitale” del fumettista americano Dave McKean, l’arte di Emanuele Luzzati, ma anche suggestioni da Klimt, con elementi mutuati dall’estetica cinematografica di Tim Burton ed Henry Selick e “linee chiare” che omaggiano la fumettistica francofona, vanno a formare l’immaginario visivo alla base del libro.
La sua natura di racconto ibrido si evince anche nella struttura grafica. Il gioco visivo si combatte costantemente tra il libro e il fumetto: il testo si presta al disegno, crea forme, suggerisce movimenti, così come farebbero le didascalie e i balloon di un albo a fumetti.
Il racconto prende letteralmente vita come se il bambino fosse davanti a noi e con la sua teatralità, la sua gestualità, ci portasse nel suo mondo dove quel maglione scuro appeso alla stampella prende vita per catturare i malcapitati bambini. Ma questo, come tutte le avventure della nostra infanzia, è un incubo a lieto fine: la soluzione è vicina, scelta dallo stesso piccolo protagonista, segue le regole da lui stesso stabilite. Dopotutto, quello è il Suo mostro, Sue sono le modalità per sconfiggerlo, Sue le parole, i “gesti” e la visività per narrarcelo.
A noi non resta altro che fare tesoro ci ciò che ci è stato raccontato e trovare il modo per sconfiggere i Nostri mostri nell’armadio.