Apocalisse in pantofole

A sud’Europa – Salvatore Lo Iacono, 10 ottobre 2011

C’è un romanzo di recente uscita che sul tema (apocalittico ndr) innesta l’inquietudine,
la psicologia e la vita di tre uomini, tre amici, con caratteristiche di una certa attualità nell’Italia di oggi: il vincitore di un reality che vive di comparsate in tv (Edoardo, la voce narrante), un politicante (Giovanni) che finisce per avere qualche guaio con la giustizia, uno scrittore in crisi creativa (Michele). È “Apocalisse in pantofole” (205 pagine, 13 euro) di Francesco Franceschini, pubblicato da Verbavolant.
Verbavolant è una casa editrice con sede a Siracusa che, proporzionalmente alle proprie forze e orgogliosamente, investe davvero sui suoi autori: non un “librificio” a pagamento, come i tanti che si moltiplicano, ma una realtà editoriale feconda e vera.
L’ultimo frutto è “Apocalisse in pantofole”, la voce originale e visionaria del suo autore che immagina come in pochi mesi, a partire da un gennaio, il meteo e la comunicazione globale del pianeta vengano sconvolte con conseguenze. Il vento smette di soffiare – e anche un ragazzino su uno skate che sfreccia è un sollievo – la temperatura sale, l’acqua viene razionata, le campagne si trasformano in deserti, gli animali muoiono, non ne restano che carcasse. «La malattia terminale del mondo aveva la meglio sulla speranza», si legge nelle prime pagine. La macchina narrativa di Franceschini (…) è puntellata da una perfetta, a tratti metaforica, resa di una lente catastrofe che attanaglia il mondo. All’apocalisse in corso i governi non sanno come reagire, rassicurano senza crederci più di tanto: tv, radio, computer, come energia elettrica, cibo e acqua, sono razionati, funzionano un’ora al giorno, alcuni religiosi vendono di contrabbando frutta a prezzi proibitivi. Lentamente le comunicazioni sono azzerate, ci si trova tagliati fuori dal mondo. Eppure la vita – ostinata e inarrestabile – continua
a scorrere. «L’anno prossimo non ci saremo», dice perentoria su una spiaggia Dorothy (donna fulva che attende il ritorno del marito) a Edoardo, quando tutto sembra volgere al peggio. Il finale del romanzo però, e anche il prologo che con l’epilogo è
una storia nella storia, fanno pensare a “Canzone sulla fine del mondo” di Czelaw Milosz, al passaggio che fa: “E chi si aspettava folgori e lampi rimane deluso”.

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